Capitolo XXIII
(trascrizione
a cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)
I produttori vinicoli milazzesi costretti ad
immagazzinare i mosti della produzione 1719 a Pozzo di Gotto, ove gli viene
anche imposto il pagamento di un tributo locale Nella vendemmia
scorsa del 1719 fatta nella nostra Piana, con tutto che fossero stati slocati
gli spagnuoli lasciando le trinciere in abbandono, con tutto che s’avessero
sovente fatto a vedere per questa Comarca, non puoterono questi cittadini
condur in questa città li vini mustali, tanto per non aver capacità ove
ripostarli e nemeno permesero gli paesani della Comarca, particolarmente quei
di Puzzo di Gotto, che fossero trasportati in questa città. Perloché la magior
parte di detti vini mustali con gravissime spese fu necessario condurli nella
città di Puzzo di Gotto, da dove alcuni vendettero detti vini mustali in quella
città ed alcuni se li condussero in questa loro Patria. E furono tutti forzati
sodisfar la gabella per ogni botte di detti vini mustali a quella città, senza
eccettione alcuna. Del che, sentendosi lesi questi paesani, ricorsero a Sua
Eccellenza colla rappresentazione che detti vini mustali si repostarono nella
città di Puzzo di Gotto per necessità, così volendo quell’abitatori,
spalleggiati dalli Spagnuoli, quali giornalmente comparivano in detta loro
città. Anzi, pretendevano vendemiarsi tutte le vigne di questa Piana per conto
loro proprio per esser beni di rubelli del loro re di Spagna, padrone di questo
Regno; e non si devenne a ciò per causa che gli officiali Spagnuoli non
consentirono alla loro pretenzione [pretesa,
ndr]. E si compiacque Sua Eccellenza spedir ordine per sua Regia Corte
Segretaria diretto a questi spettabili signori Giurati che, come suoi delegati,
facessero complimento di giustizia sopra la giustificata pretenzione delli
cittadini di questa per non pagar sudetta gabella. Avendo seguita tal
commissione nel mese di novembre dell’anno scorso 1719 e per depocaggine [dappocaggine, ndr] si trascurò
l’esecuzione per tanto tempo. Ma, fattasi la reflessione, si pose in opera la
delegazione. E chiamati in giudizio gli Giurati di quella città, con ogni somminissione supplicarono, con la solita scrittura, che fossero almeno
costretti quelli padroni delli vini mustali che se li vendettero in quella
città a sodisfar detta gabella, poiché molto si lucrarono nella vendita delli
loro vini. E che si rest[it]uisse l’esatto da quelle persone le quali da detta
città da nuovo si condussero in questa e suo territorio sudetti vini. Al che
consentirono questi Spettabili signori Giurati per parerli cosa giustificata. E
così si fece l’attitato [scrittura
processuale, ndr] conveniente a favore di questi cittadini. Se si volessero descrivere gli crepacori delli
Puzzogottesi, per sentirsi molt’increpati contro questa città e suoi abitatori,
sarebbe infruttuoso. Nondimeno si
possono presupponere da tutti quei che refletterono l’intenzione delli sudetti,
nel tempo che speravano dominare dapertutto, e pure questa città (ma restarono
defraudati con il loro discredito). Ed allorché credevano aver gionto cogli
auspicij degli Spagnuoli nell’auge d’ogni loro contento e grandezza,
precipitarono nel più cupo baratro di loro miserie. E puol essere che dovranno
soffrire maggiori turbolenze, per non aversi saputo regolare col dovere.
3 marzo 1720
Ritorno del capitano milazzese Gioacchino Colonna a
Messina, dove attende la famiglia in viaggio da Napoli 3 marzo. Capitò in questa sua città il signor
Don Gioachino Colonna, quale da più anni che si retrovava nel Regno di Napoli
al servizio dell’Augustissimo Carlo Sesto Imperadore colla carica di capitano,
avendosene fuggito da questa sua Patria con altri gentiluomini e suoi congionti
nel tempo che dominava questo regno il Re di Spagna, siccome di sopra s’ha
narrato. Con tutto che da più giorni s’avesse ritrovato nella città di Messina
e sta attendendo la moglie e figli da Napoli a momenti, con volersi retirare in
Messina venuta la fameglia.
4 marzo 1720
Confermato l’arresto dei tre amministratori comunali
di Novara di Sicilia a causa del mancato ritorno del capitano Mercurio
Stancanelli
4 marzo. Si riferì da più giorni, [così] come in questo, che gli Spagnuoli
s’avessero retirato nella terra della Novara richiesti da quei paesani, per la
molta lor inchinazione che portano agli Spagnuoli. Raccontandosi che quel
capitano di Stancanella, qual s’avea partito da questa [città] colla plegeria
del suo cognato signor Don Francesco Colonna, d’ordine di questo coronello
comandante, persistesse carcerato per ordine dell’officiali Spagnuoli per aver venuto
in questa [città] cogli Giurati di detta terra. Ma ciò non si credea e detti
Giurati esistevano carcerati nel Castello Regio di questa città per non aver
retornato sudetto di Stancanella, capitano.
6 marzo 1720
Il viceré ordina di esigere a Milazzo il «diritto
della meraglia», una decisione che si pone in contrasto coi “privilegi” della
città
6 marzo. Da più giorni venne ordine
da Sua Eccellenza che s’esigesse il jus [diritto,
ndr] della meraglia in questa città per proprio suo conto come Grande Almerante
[Ammiraglio, ndr] di questo Regno,
conforme nell’altre città mari[t]time d’esso. E con tutto che da questo Regio Secreto
s’avessero rappresentato le ragioni di questa città, poiché per molte volte preteso
mettersi detta medaglia non si puoté superare [conseguire, ndr], ostando gli privilegij della città [norme giuridiche aventi efficacia esclusivamente
nel territorio comunale di Milazzo, ndr] ottenti dagli dominanti nel Regno
oltre l’inveterata consuetudine di più secoli. Peronde sedatasi la pretenzione
per alcuno breve tempo, nondimeno da
nuovo s’emanò l’ordine della sudetta Eccellenza Sua]che si dovesse bandizzare
tal officio di vice ammiraglio con liberarsi al più offerente. Se ciò - per
esser molto pregiudiziale a tutto questo publico (oltre all’Università),
scemandosi nella magior parte il capitale delle sue rendite, specialmente la
gabella del pesce annuale di molta centinara d’onze - recasse tribolazione - nel
tempo che [tanto più che, ndr] per li
gravi danni patiti e sofferti nella presente guerra dovrebbe la città più[t]tosto
sollevarsi colla munificenza d’un Dominante Augustissimo, che rendersi
dell’intutto calpestrata e dimessa - si lascia nella considerazione di quei che,
sentendo tal angustie, faranno quel giudizio che li sarà somministrato dalla
savia loro perspicacia e [segue lacuna
nella copia, ndr].
7 marzo 1720
Muore il barone Bertram Anton von Wachtendonk. Sembra
che il viceré spagnolo marchese di Lede voglia
abbandonare la Sicilia insieme alle sue truppe 7 marzo. Capitò
in questo porto una nave francese - trasportata dal tempo contrario - per suo
ricovero, partita da Trapani. S’attestò che l’armata navale colle truppe
tudesche dal giorno che fece la partenza da questa [città] per condursi nella
detta città di Trapani abbia dimorato nel viaggio per lo spazio di giorni diece.
Come pure che il generale Vuottendon, qual
si ritrovava sopra dett’Armata, abbia passato all’altra vita sopra mare un
giorno innanzi che pervenne dett’Armata nella sudetta città di Trapani. Tanto
che fu trasportato col battello in detta città. Inoltre si publicò che la
medema Armata abbia seguito il suo camino più innanzi verso Sciacca. E
finalmente che il viceré dei Spagnuoli, il signor marchese de Lede, volesse
lasciare il Regno con alcuni patti e convenzioni. Perloché dal signor generale
de Mercij s’abbia inviato in Napoli, per farsi consapevole di ciò, il generale
Beth, qual governava la flotta Inglese. Se ciò sia vero o bugia non si puoté
discernere.
8 marzo 1720
I rifornimenti di viveri stentano a riprendere i
ritmi antecedenti all’Assedio 8 marzo. Non s’ha più inteso novella alcuna che per queste parti convicine
della Comarca si ritrovassero truppe spagnuole. E con tutto ciò non si
frequentava come pria innanzi l’assedio delli Spagnuoli il commercio in questa
città per tutto questo Regno, ancorché da parti molto lontane, conducendosi per
terra e frumenti ed orgi, e legumi e formaggi ed altri viveri consimili. Del
che molto nocumento ha recato a questa città, dovendosi comprare dette
vettovaglie da quelli che li conducevano o da Napoli o da Calabria per mare, a
prezzo molt’esorbitante. Anzi, se alle volte dal Regno si trasportavano detti
viveri per esser di poca quantità, pure si compravano di caro prezzo. E la
cagione s’attribuiva che non descendevano le redine con simili viveri per
timore delle truppe spagnuole, le quali facevano molte scorrerie per quelle
strade ove dovevano passare detti viveri. Se pure non fosse stato per la molta
affezione di detti Spagnuoli o pure per condurli alli medemi o volontariamente
o[ppure] per necessità.
9 marzo 1720
In previsione della penuria di pane, gli
amministratori comunali provvedono alle scorte 9 marzo. Da più
tempo, prevista la scarsezza del pane in questa città dalli spettabili signori
Giurati, s’attese con ogni vigilanza a farsi la provisione per più mesi. Tanto
che da Messina furono condotte più centinara di salme di detto formento, con
aversi comprato molto caro. E così è necessario magnarsi il pane ad onze diece
per ogni grana quattro. Ed il peggio si è che sarà necessario consumarsi
coll’interesse del publico, quale molto si retrovava angustiato per la
scarsezza d’ogni vivere, magnandosi al triplicato, anzi più di quello
ch’innanzi si consumava.
10 marzo 1720
Verso la pace 10 marzo. Si sparsero molte notizie di pace
venute da Messina e da Trapani. Volesse Dio che s’effettuasse per consuolo universale
di tutto questo Regno. E specialmente da questa povera città.
11 marzo 1720
Torna la cavalleria allontanatasi per penuria di
foraggi
11 marzo. Vennero in questo Porto due navi ben grosse inglesi cariche di
cavalleria, l’una da Napoli e l’altra da Calabria. Di quella [cavalleria] che [in
precedenza] s’avea trasportato da questa città per la scarsezza d’orgi e paglia.
E si ricoverarono per il maltempo e contrario in questo Porto per valiggiare [veleggiare?]
verso l’armata.
12 marzo 1720
Contenuti dei trattati di pace descritti in una
gazzetta in lingua tedesca 12 marzo. Si frequentarono le notizie della pace. Anzi,
s’osservò una gazzetta venuta da Napoli in stampa in idioma tudesca, nella
quale si descriveano gli trattati di detta pace concertata bensì da parte della
Spagna. Tra l’altri patti, che questo Regno di Sicilia restasse per
l’Augustissimo Imperadore con l’assoluto dominio, restando bensì illese le
pretenzioni del re di Spagna sopra detto Regno. Secondo, che il Regno della
Sardegna restasse per l’Altezza del Duca di Savoia con ogni dominio,
contribuitoli da detto Augustissimo Imperadore. Terzo, che il marchese di Lede,
venuto da viceré in questo Regno per
il Re di Spagna, dovesse slogare unitamente con tutte le sue truppe venute nel
Regno da parte del detto Re di Spagna, con aver lo trasporto sino a Spagna.
Quarto, che gli inglesi dovessero restituire al Re di Spagna gli vasselli presi
nella battaglia seguita nel mare verso la città di Siragosa in quest’isola.
Quinto, che pure dalli francesi si restituissero al re di Spagna quelli quattro
vasselli da loro tolti nel mar Oceano nel Sud. Sesto, che al medemo Re di
Spagna si restituissero cinque porti nella Toscana. Settimo, che dal Papa si
restituisse al Duca di Parma il Forte di Castro, con manutenersi illese le sue
pretenzioni. Octavo, che l’inglese dovesse restituire tutte le piazze prese,
tra l’altre Porto Magone ed altre nell’India al medemo re di Spagna. Nono, che
pure si restituissero Piacenza ed altri nella Toscana. E e con altri patti. Si
stava perciò con l’aspettativa di più veridiche relazioni.
13 marzo 1720
Muore la madre dell’imperatore Carlo VI 13 marzo. Si
publicò pure la morte dell’Augustissima Signora Leonora Imperatrice, madre del
nostro sovrano regnante. E pure si vociferò la morte intempestiva del
primogenito del Re di Spagna, figlio del primo matrimonio. Con aver venuto
tutto ciò notiziato in stampa con gazzetta.
14 marzo 1720
Il comandante della Piazza ordina ai comuni
dell’hinterland la fornitura di legna e fascine per destinarle alle truppe e
per eseguire la manutenzione delle trincee all’esterno delle porte 14 [marzo].Per
la scarsezza di legna per servizio delle truppe tudesche che resiedono in
questa città e[d anche per la penuria] di fascine per farsi il pane di
monizione per le medeme truppe, ed inoltre per accomodarsi alcune trinciere
fatte nel petto che persistea la guerra coll’assedio delli Spagnuoli (queste
fori le porte), da più giorni con ogni accuratezza s’attese da questo signor
comandante a far provisioni di detti materiali per tutta questa Comarca,
inviandosi più ordini rigorosi a quell’Università per l’appronto sudetto. Anzi,
per aversi più distinta notizia di detta robba richiesta, furono
alternativamente angariati [vessati,
ndr] molti paesani, deputandosi alla porta nominata di Palermo per tener nota
di quello entrava di legna e fascine. Concurrendo gli spettabili signori
Giurati per adempirsi in tal deputazione l’ordine sudetto.
15 marzo 1720
I cadaveri di sette soldati imperiali e di una donna
incautamente gettati dentro una cisterna nella chiesa del SS. Salvatore al
Borgo. Ne consegue un gravissimo problema igienico-sanitario (fetore
insopportabile) cui si pone rimedio 15 [marzo]. La chiesa di Santa Caterina
in questa città [odierna Badia
benedettina o chiesa del SS. Salvatore al Borgo, ndr], possessa dalli Reverendi
Padri Carmelitani Scalzi sotto l’ordine di Santa Teresa (con tutto che s’in’al
presente sia stato ospizio con pochi Padri), per esser un vaso molto capace,
sempre e dal principio che principiò l’assedio delli Spagnuoli per insino che
slogarono da questa Piana, anzi, continuandosi sin al presente, ha servito per
quartiero di soldati tudeschi. E benché alcune volte ed interpellativamente
fosse stata lasciata libera, pure doppo hanno retornato dette truppe. Ma per
aver seguito in esse più volte un’epidemia molt’atroce colla morte di molti,
come pure di quelli che alloggiavano nella sudetta chiesa, o per trascuraggine
degli officiali o per melensaggine [ottusità,
ndr] delli sudetti soldati per non condur molto lontano e fori le porte agli
cadaveri per evitar la fatiga, nonostante che abitassero in detta chiesa essi
soldati sepellirono sette cadaveri nella sudetta chiesa, non badando allo
fetore di detti morti. Quando peraltro per esser molti, e stando affollati
senza la polizia dovuta, pure s’udia per tutta la contrada la puzza che v’era
in detta chiesa, portando molto nausea a chi per quella strada dovea passare. Anzi,
per aver morto tra l’altri sette soldati, nelle quali una femina, tutti eretici,
ebbero scrupolo di sotterrarli nelle fosse qual esistavano in detta chiesa per
servizio degli fedeli. Gettarono [quindi] tutti sudetti cadaveri d’eretici
dentro una gisterna ben grande posta nella medema chiesa. Ma, doppo, seguite le
piogge e conservatosi in detta gisterna molt’acqua, si vennero a putrefare gli
cadaveri e l’altre immondizie che in quella da più tempo s’aveano da detti
soldati gettate. E per aversi lasciata da dette truppe la chiesa, volendosi dal
Padre Vicario - qual tenea la cura di detta chiesa e con l’ospizio collaterale
ben formato, qual pure ha servito per gli officiali di dette truppe tudesche ed
alle volte per alloggio d’alcuni officiali spagnuoli prigionieri - far
purificare tutta sudetta chiesa. Ma s’osservò che per nessun modo in quella si
puoteva entrare per esser molto sensibile il mal odore. E fu necessario
lasciarl’aperta per molti giorni. Anzi, conoscendosi ciò derivare specialmente
per causa delli sudetti defonti ripostati in detta gisterna, ma accresciuta la
puzza pestilenziale, tanto che s’intendea da molto lontano, fu vuopo ricorrersi
a questo signor comandante. Dal quale, fattosi discorso speciale (unitamente
colli signori giurati e medici) per togliersi quel pericolo qual puotrebbe
recare tal fetore, facilmente puotendosi infettar l’aria e cagionarsi alcun
morbo maligno, si determinò primariamente che tutta detta gisterna s’empiesse
di terra e doppo serrarsi per non darsi campo d’alcun’infectione col danno
universale. E si sovrasedette per farsi meglio riconoscere d’alcuni maestri
muratori, tenendosi la sudetta chiesa sempre aperta e di giorno e di notte per
togliersi tal fetore.
16-20 marzo 1720
Partenza delle due navi inglesi cariche di cavalleria 16 sino a 20
marzo. Accomodatosi il vento col vento prospero, li sudetti due vasselli carichi
di cavalleria - come di sopra s’ha espressato - fecero vela per il mar di
Ponente per unirsi col nerbo di tutto l’esercito tudesco con alcune truppe savoiarde
e di Piemonte.
21 marzo 1720
Approda nel Porto di Milazzo un brigantino impegnato
nel pattugliamento delle coste 21 marzo.Approdò in questo Porto una
saittia [saettia, nave veloce, ndr] o
brigantino ben corredato, quale scorrea questi mari così per aversi notizia
dell’imbarcazioni che valicavano per questi mari, come pure per discacciare
quei corsari nemici che infestavano anche con felughe e consimili barche queste
spiagge.
22 marzo 1720
Si torna a lavorare alla cisterna della chiesa del
SS. Salvatore, dove viene eseguita una perforazione allo scopo di far sgorgare
l’acqua della stessa cisterna, interessata dal processo di decomposizione dei
cadaveri 22
marzo. Dalli signori Giurati di questa [città] si fece un’assemblea per
rimediarsi il fetore che si ritrovava nella chiesa di Santa Caterina, per causa
delli cadaveri ripostati in una gisterna posta nella medema chiesa. Ed infatti
- convocati diversi maestri muratori con alcun operaij con zappe, pali
ed altri strumenti - si determinò che si facesse un buco nel muro di detta
chiesa dalla parte ove risiedeva detta gisterna, con scavarsi il pedamento per
insino che si retrovasse il fondo di detta gisterna. [Ciò] affinché scorresse
tutta quell’acqua che in essa si ritrovava con farsi un fosso un puoco distante
da detto buco. E, doppo purgata e scorsa l’acqua di detta gisterna, mettersi in
quella [stessa cisterna] quantità di calce in pietra per disfarsi sudetti
cadaveri. E serrarsi la bocca di detta gisterna per molto tempo. Anzi,
lasciarsi - come prima - entrar in detta gisterna l’acqua piovana per più volte
per insin che s’avrebbe purificato dell’intutto detta gisterna. E così, misuratasi
l’altezza di detta gisterna e per dove avrebbe incontrato nel suolo a farsi
sudetto buco per più facilitazione, tanto più che in quella parte ove esistea
la detta gisterna si ritrovava il terreno scozzese [scosceso, ndr] ed un puoco basso, a propozione per un puoco del
suolo di detta gisterna, e ciò concertato, si diede principio a farsi detto
buco, avendosi travagliato per tutto giorno dalli maestri e lavoranti. E per il
susseguente [giorno] con molta fatiga e travaglio, avendosi perforato tutto il
muro nel pedamento. E finalmente, sul tardi, scatorì l’acqua da detta gisterna.
E dirizzata per un canale, per tal causa fatto nella strada, s’intese un
grandissimo puzzore che fu necessario discoccarsi da quella contrada. E pure
furono gli operarij assistere all’opra sin al fine. Ed evacuata tutta l’acqua
di detta gisterna, dalla bocca d’essa s’osservarono tutti sudetti cadaveri
parte macerati e parte intatti. Perloché si gettarono più some di calce in
pietra per consumarsi li sudetti cadaveri.
23 marzo 1720
Passo indietro nelle trattative di pace 23 marzo. Venne
notizia da Napoli, per mezzo di più gazzette, che gli trattati di pace come di
sopra espressati fossero stati anteposti da parte del Re di Spagna. E che
dall’altre potenze non si condiscese. Volendosi da queste che s’osservasse
l’alleanza quatruplice fatta in Londra. E cossì s’ha stato con molta
perplessità, con tutto che avessero pria venuto più notizie (che detta pace
fosse stata concertata) così da Messina, con più relazioni di lettere, come da
Palermo.
24 marzo 1720
Si fermano nel Porto tartane cariche di cavalleria
imperiale e dirette a Trapani 24
marzo. Aveano passate molte tartane cariche di cavalleria tudesca per
conferirsi nel grosso dell’esercito verso le parti di Trapani. E per li venti
contrarij insorti sul tardi retornarono, conferendosi alla sfilata col vento di
Ponente in questo Porto. Del che resultò molto nocumento a questo publico, con
tutto che servisse di proveccio agli venditori, poiché magiormente si redusse
la città in più penuria di quella che pria tenea.
25-31 marzo 1720
Scarcerati gli amministratori comunali di Novara di
Sicilia grazie al versamento degli oneri dovuti all’erario (“tande”) 25 marzo sin a
31 detto. Gli signori giurati della terra di Novara sinora hanno persistito nel
Castello. Bensì, sotto li [segue lacuna
nella copia, ndr] di detto mese, furono rimessi con aversene retornato nel
loro paese. Bensì furono costretti sodisfar tutte le tande dovute, con tutto
che avessero da principio confermato d’averle sodisfatte alli Spagnuoli nel
tempo che dominavano in quella Comarca. Nondimeno, per essere scarcerati,
pagarono per intiero. Ed inoltre si vociferò avere sborzato altra somma. Ma per
aversi ciò concordato per mezzo d’alcuni loro confidenti, non si publicò la
quantità. Si sebbe bensì aver eccesso la somma.
La cavalleria parte per Trapani Con vento da
Levante e Scilocco tutte quelle navi e tartane cariche di cavalleria,
trattenute in questo Porto per gli venti contrarij, fecero la partenza per
retrovar il corpo dell’Armata verso Trapani.
Finalmente la pace Così da Messina,
come da Palermo, hanno venuto continue relazioni d’aversi fatto la pace tra
l’Imperadore ed il Re di Spagna, concorrendo in essa li collegati. E che prima
seguirà l’armestizio tra le truppe tudesche e le spagnuole in questo Regno. Ciò
con molta brama s’attendea da tutti universalmente.
Lettera inoltrata da Vienna conferma l’avvenuta consegna
di un memoriale da parte del sacerdote milazzese Antonio Ura, autore delle Dissertationes
Epistolares (Tip. D’Amico, Messina 1693) A dì [segue lacuna nella copia, ndr] marzo. Il sacerdote Don Antonio Ura
è stato da più mesi agente da questa città [di Milazzo] nella Corte di Vienna,
appresso l’Augustissimo Imperadore come Sovrano e Re di questo Regno. E con
data [segue lacuna nella copia, ndr]
fu rimessa alli signori Giurati di questa [città] una lettera dal signor Don
Antonio de Perlas e Vellona, marchese [segue
lacuna nella copia, ndr], segretario [segue
lacuna nella copia, ndr] di Sua Maestà Cesarea e Cattolica, con avvisar che
da detto sacerdote di Ura già s’avea dato il memoriale da questa città per
ottenersi le grazie.
L’aristocratico Domenico Marcello D’Amico dichiara
fedeltà all’imperatore Pure nel mese di luglio scorso 1719 il signor Dottor Don Domenico Marcello D’Amico
scrisse a Sua Maestà Cesarea e Cattolica, espressandole con ogni ossequio la
sua fedeltà. E non prima di questo giorno ottenne la risposta dal segretario
della Maestà Sua con data de’ [segue
lacuna nella copia, ndr] da Vienna,
del tenor che siegue:
«He consignado in manos de Su Magestad la carta de V.a
M.d de 2 Iulio pasado y
acceptando su celo [zelo, ndr] y las expresiones de fidelitad con que sabe
ostentar su reconosimiento y honor, confia Su Magestad el desempeño de su servizio en todo à quello que à V.a
M.d le fuere en cargado y cometido por el señor Virrey Duque de
Monteleon.
Yo aprezio la aplicazion de V.a M.d y por ella me hallara siempre siguro
con los ofizios de mi facultad à q.to sea de su major satisfazion. Dios guarde
â V.a M.d muchos años. Viena y Enero 6 de 1720.
B. las m. de V. M.d [Besa
las manos de V.a M.d, ndr]
su mayor servidor
El Marqués de Realpe
S.or D. Marcello Domingo de Amico»
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